DAL BACO ALLA FILANDA, FINO AL CORREDO
LA SETA, LE FILANDE, I FILATOI
Per secoli le nostre campagne sono state caratterizzate dalla forma tozza dei gelsi che fino a pochi decenni fa segnavano i confini delle proprietà. Le famiglie contadine, e in particolare le donne, si sono impegnate nell’allevamento dei bachi, ghiotti di gelso, sulle stuoie in cucina e in camera da letto. I bozzoli, trasferiti nelle filande venivano prima essiccati per uccidere le crisalidi e poi immersi in acqua calda per sciogliere la sericina, ossia lo strato gommoso che li rivestiva e per permettere al filo di svolgersi.
Nelle filande lavoravano le “virere”, addette a girare a mano l’aspa su cui si avvolgeva il filo di seta che usciva dalla bacinella piena di bozzoli; le “filere”, o filatrici, meglio retribuite, giudicavano quando era necessario variare la temperatura dell’acqua della bacinella per adattarla alle diverse fasi della lavorazione, per mantenere costante la grandezza del filo, aggiungendo o togliendo qualche bava, e riannodarlo se si spezzava.
Nel filatoio era in funzione un insieme complesso di macchine. L’incannatoio meccanico provvedeva a far passare la seta, che arrivava dalle filande sotto forma di matasse.
Nel ‘700 Alessandria restava integrata al mondo agricolo. Le filande venivano confinate alla periferia. Negli anni Settanta dell’800, in via Ravanale, sorgevano le filande Montel e Ceriana, che contribuirono ad aumentare i nuclei di manodopera salariata delle prime fabbriche.
Dopo il secondo conflitto mondiale per l’allevamento del baco da seta ha inizio un periodo di grave crisi, a causa dell’industrializzazione, che opera una profonda trasformazione dell’economia del nostro paese.
Oggi l’arte della seta si ripropone all’attenzione del mondo agricolo nazionale, quale attività alternativa, per quanto riguarda la diversificazione delle colture a sostegno dell’ambiente secondo le indicazioni della politica comunitaria e quale attività integrativa sotto il profilo economico.
Nel nostro Museo è presente un microscopio da bacologo, con cui veniva controllato il baco da seta, selezionando gli esemplari sani per ottenere una migliore resa nella produzione; e una cassetta del bacologo Gedeone Prosperi.
IL CORREDO
Quasi tutte le ragazze del passato sapevano tracciare sulla stoffa i principali punti, ma la ricamatrice era una professionista che imparava in qualche scuola di ricamo e sulla quale si aggiornava attraverso riviste specializzate. Sapeva rendere preziose tovaglie, lenzuola, camicette, camicie da notte, tovaglie da altare.
Fin dall’infanzia sotto la guida delle donne di famiglia, le bambine imparavano ad imbastire, orlare, rifinire; si esercitavano anche nel ricamo e preparavano lenzuola, federe, asciugamani, grembiuli, strofinacci e biancheria.
Nel 1800 l’agreo, o fardello, cioè il corredo della ragazza, risulta essere un vero peso economico per la famiglia in vista del futuro matrimonio delle figlie femmine. L’agreo era registrato con atto notarile insieme alla dote, che rappresentava una sorta di liquidazione patrimoniale per la figlia che lasciava la casa paterna, e poteva consistere in denaro o in beni materiali. Nel corredo si trovano cuffiette da notte e da mattina, giacchetto (una corta giacca, stretta in vita, che si portava sulla camicia da giorno), mutandoni o tubi della decenza, fazzoletti.
Sono presenti macchine da cucire Jones degli anni ’30, di cui una utilizzata soltanto per finalità domestiche e donata al Museo nel 2015.
In vetrina possiamo osservare un set di strumenti utilizzati per ricamare gli indumenti del corredo, alcuni abiti da battesimo del ‘900, una sottoveste in seta del 1925.