Secondo la tradizione, l’invenzione della carta sarebbe avvenuta in Cina agli inizi del II secolo d.C., sotto il regno dell‘imperatore Hedi (r. 88-105) della dinastia degli Han Orientali (25-220); nel 105 d.C. l’eunuco Cai Lun (?-121) avrebbe presentato al sovrano il primo tipo di carta, prodotto probabilmente con fibre di canapa, vari tipi di corteccia, come quella del gelso, e altri materiali grezzi e di recupero. Ritrovamenti archeologici compiuti negli ultimi decenni nelle province dello Shaanxi e del Gansu hanno però rivelato che la carta fu certamente inventata in Cina, ma che la sua comparsa dev’essere retrodatata di qualche secolo.
La carta era piuttosto resistente e si prestava a essere colorata, ma soprattutto costituiva un supporto ideale per la scrittura a inchiostro e finì cosi per soppiantare le strisce di legno e bambù utilizzate sino ad allora. Inoltre, la carta era così sottile da poter essere piegata, mantenendo bene la piega, e poi riaperta e ripiegata nuovamente per innumerevoli volte, caratteristica assai rilevante per il successivo sviluppo dell’origami. Anche se la prima carta cinese era probabilmente molto grossolana, perché fabbricata con cortecce d’albero e altri materiali grezzi, si trattò comunque di un’invenzione a dir poco rivoluzionaria, davvero sensazionale per l’epoca.
Cosi, quando Cai Lun presentò il risultato delle sue ricerche all’imperatore Hedi, questi e la sua seconda consorte, l’imperatrice Deng Sui (81-121), ne furono seriamente compiaciuti.
Nel 114, sotto il regno dell’imperatore Andi (r. 106-125), Deng – ormai Imperatrice Vedova – per ricompensare Cai Lun dei suoi servigi lo nominò “Marchese di Longtinq”, città della contea di Yang (Shaanxi) dove oggi si trova, non lontano dal suo luogo di sepoltura, un museo a lui intitolato e dedicato alla cultura della carta.
Per cinquecento anni così fu, ma nel 610 d.C, la tecnica di produzione della carta giunse in Giappone, portata probabilmente da un monaco buddhista, per poi diffondersi anche in Corea e in altri Paesi dell’Asia fra VII e VIII secolo: secondo la leggenda, il monaco sarebbe stato costretto a rivelare il segreto della fabbricazione della carta per salvarsi la vita, quando la nave su cui si trovava venne attaccata da pirati giapponesi. Fu così che in Giappone vennero ben presto sviluppati metodi per rendere più morbida ed elastica la carta, tecniche rimaste insuperate sino ad oggi.
Complice la cultura di quel popolo, la carta acquistò ben presto una grande importanza anche per le sue valenze sacre. Molteplici sono le implicazioni e i significati che la parola origami evoca e che sono in parte ricollegabili all’ambito religioso. Essa è composta da due termini: ori, che significa “piegare”, e kami, che significa “carta”, da cui il significato di “carta piegata” o di “piegare la carta”. Per le regole della fonetica giapponese, il suono della consonante “k” si muta in “g” e la pronuncia che ne risulta è dunque origami. Ma kami è anche qualcosa di superiore, qualcosa che “sta sopra”, che galleggia, che sta in alto. La parola che allude alle divinità, coloro che per definizione “stanno in alto”, si pronuncia nello stesso modo, kami appunto. E per fabbricare la carta si usavano, e si usano tuttora, varie fibre vegetali ridotte in pasta finissima, miste a cotone e ad altre fibre che, macerate in acqua, tendono naturalmente a galleggiare; da qui, forse, l’idea che la carta sia un mezzo per consentire agli uomini di entrare in contatto con le divinità stesse.
Il processo di fabbricazione della carta rappresenta e richiama un altro concetto molto presente nella cultura orientale in genere: la continua trasformazione delle cose. Per fabbricare, per esempio, la carta di riso, occorre procurarsi le piante di riso che vengono “strappate” alla loro normale vita, ma che dopo essere state ridotte in pasta finissima
“rinascono” a nuova vita sotto forma di carta. Per una sensibilità di questo tipo, l’uso della carta in ambito religioso risultò assolutamente naturale: ed ecco i gohei, strisce di carta piegate in modo particolare la cui funzione è unire idealmente gli uomini alle divinità, oltre che delimitare lo spazio sacra Gli atleti, i lottatori di sumo, non ricevevano denaro in caso di vittoria, bensì queste preziose strisce. Ancora molto più tardi, i forgiatori di spade per samurai dovevano consacrare con queste strisce lo spazio al cui interno avrebbero fabbricato una spada.
Va da sé, quindi, che in Giappone fossero quasi esclusivamente i monaci a fabbricare la carta, sia perché ne erano i principali utilizzatori sia perché il processo di lavorazione era piuttosto lungo e richiedeva molta manodopera specializzata. La carta non veniva impiegata per realizzare “modelli” come li intendiamo oggi, ma per creare figure astratte aventi un significato simbolico e rituale, secondo rigide regole formali note a pochi specialisti. Le cose andarono avanti così per almeno 150 anni. Durante il periodo Heian (794-1185), si verificò un primo graduale passaggio da un uso prevalentemente religioso a uno più profano. Non erano più solo i monaci a piegare la carta, ma anche gli appartenenti alla classe nobiliare, poiché si trattava comunque di un materiale costoso, non accessibile a tutti. Si passò cosi dai modelli più astratti, usati per scopi religiosi, ad altri più figurativi, che riproducevano animali, insetti, fiori e altre forme della natura. Fu in questo periodo che nacque il modello oggi forse più conosciuto al mondo, che e anche il simbolo internazionale dell’origami: la famosa gru, in giapponese tsuru. Nonostante la rapida diffusione della carta, questa rimase comunque per lungo tempo un materiale raro e pregiato, il cui uso era riservato alle cerimonie religiose o ad altre occasioni importanti. Uno degli esempi più antichi di origami, risalente al periodo Heian, è un foglio di carta pieghettato con il quale si copriva la bottiglia di sake che veniva posta sull’altare come offerta propiziatoria durante le cerimonie religiose.
Alla fine del periodo Heian ebbe inizio quello Kamakura (1185-1313), a cui fece seguito il periodo Muromachi o Ashikaga (1333-1573), durante il quale al graduale declino dell’aristocrazia civile corrispose l’ascesa di quella militare e della classe dei samurai. Fu in questo periodo che, nell’ambito del buddhismo, si svilupparono nuove scuole, la più famosa delle quali è probabilmente quella zen, che esalta l’autodisciplina, la meditazione e il contatto con la natura. La storia dell’origami registrò tale cambiamento e questa disciplina si diffuse in strati sempre più ampi della società. Fu in quest’epoca che nacque il noshi, una decorazione di carta utilizzata per accompagnare un dono in segno di buon augurio o per congratularsi per un successo ottenuto; la tradizione giapponese ha codificato numerosi tipi di noshi adatti alle più svariate occasioni, attuali ancora oggi. Si sviluppò, inoltre l’uso di piegare in forma di farfalla, di gru e di fiore o ancora in forme astratte e geometriche le lettere con cui si indirizzavano le proprie suppliche al signore del luogo o si ricercavano i favori dell’amata, la quale poteva capire già dal colore e dalla forma se la lettera avesse un contenuto amoroso o meno. Nelle famiglie in vista, conoscere l’arte dell’origami divenne un requisito fondamentale per essere ammessi in società e molte casate adottarono proprio un origami come stemma. Questa disciplina prese gradualmente a diffondersi anche nelle classi popolari. Si creavano custodie per piccoli oggetti, come i tato, utilizzati per la conservazione di erbe officinali, o gli tsutsusumi; anche il kusudama, una sfera di erbe che si riteneva avesse il potere di proteggere dagli spiriti maligni, veniva realizzato in carta, usando più fogli uniti fra loro con ago e filo. In questo periodo il Paese raggiunse un notevole sviluppo economico, che portò un relativo benessere e una certa tranquillità sociale.
Con il periodo Edo o Tokugawa (1603-1868), in Giappone arrivò la stampa e l’origami sfruttò questo mezzo per aumentare la propria diffusione. Sono stati ritrovati alcuni testi che riportano modelli di origami: tra i più antichi, vi è il Chushingura Orikata, una raccolta di personaggi tradizionali. L’opera forse più, celebre è lo Hiren Senbazuru Orikata, il cui titolo allude ai “segreti per piegare le mille gru”: la gru ha percorso davvero molta strada dalla sua nascita e si potrebbe anzi dire che si è moltiplicata strada facendo. In realtà, con il passar del tempo si sono moltiplicati i suoi significati, Sono note anche altre raccolte di modelli tradizionali, tra cui la più famosa è probabilmente il Kayaragusa, letteralmente “finestra sulla stagione fredda”, Si tratta di una raccolta di modelli cerimoniali: la farfalla maschio, ocho, e la farfalla femmina, mecho, il folletto portafortuna, i danzatori, i lottatori, le bambole hina. Il valore di questa raccolta è enorme, perché documenta la lunga serie di modelli tradizionali conosciuti già a quel tempo.
Con la fine del periodo Edo, per il Giappone cominciò una fase di “contaminazione” con la
cultura occidentale. Fino ad allora, infatti, erano stati pochissimi i giapponesi che avevano avuto l’opportunità di uscire dai confini nazionali; e ancor meno erano gli stranieri che avevano avuto accesso al Paese del Sol Levante. Gli scambi economici erano ridottissimi e quelli culturali quasi inesistenti.
Per una serie di fortunate circostanze, tuttavia, l’esperienza di Fröbel non restò lettera morta, ma venne anzi riconsiderata proprio in Giappone, dove fu riconosciuta e applicata su larga scala nell’educazione dei bambini, segnando aia svolta importantissima Tra coloro che s’interessarono a questo metodo c’era anche Akira Yoshizawa, uno dei più grandi maestri dell’origami. Da sempre fortemente attratto da quest’arte, quando ricevette l’incarico di formare gli impiegati della ditta dove lavorava non ebbe esitazioni a usare la carta per insegnare loro la geometria. L’amore di Yoshizawa per l’origami gli consenti di elevare questa disciplina da tecnica ad arte. Egli rivoluzionò infatti il modo di piegare la carta, a partire dalla concezione del modello. Introdusse il concetto di “pieghe morbide” e diede impulso alla tridimensionalità, che fino ad allora era stata trascurata se non malvista. Sviluppò anche la tecnica della “piega bagnata”, o wet folding, per conferire ai suoi modelli quella plasticità ancora oggi insuperata.
Il mondo conobbe Yoshizawa quando questi nel 1952 pubblico la sua prima raccolta di lavori su una rivista giapponese. Si trattava dei dodici segni zodiacali, che destarono immediato scalpore, suscitando stupore per la straordinaria bellezza e per la tecnica assolutamente nuova. Non meno importante fu il suo contributo nel campo della divulgazione. Insieme ad altri due grandi personaggi dell’origami moderno, Samuel Randlett e Robert Harbin, ideò una serie di simboli e segni grafici per indicare le pieghe da eseguire su un foglio di carta. Per l’origami fu come rivivere la rivoluzione della stampa. Il linguaggio dei segni, infatti, era internazionale e superava tutte le barriere linguistiche: finalmente diventava possibile trasmettere un dato modello senza bisogno della presenza di un maestro che insegnasse all’allievo. La validità di questo metodo è testimoniata dal fatto che tali simboli sono usati ancora oggi, senza aver praticamente subito alcuna modifica.
Nel frattempo, i lavori del Maestro giapponese cominciarono a girare il mondo, almeno in fotografia. Nel 1955 fu organizzata ad Amsterdam la prima mostra con modelli originali forniti da Yoshizawa tramite il medico Gershon Legman, il primo storico dell’origami. Il successo fu enorme e in parte inaspettato. L’ambasciatore giapponese in Olanda ringraziò pubblicamente Yoshizawa per il contributo dato al miglioramento dei rapporti tra i due Paesi. In seguito, l’artista venne nominato ambasciatore di pace nel mondo dal governo giapponese.
Se si digita “origami” su un qualsiasi motore di ricerca, appaiono come minimo 10.000 siti: si può davvero dire che ormai l’origami sia noto in tutto il mondo. Gran parte del merito va al codice steso da Yoshizawa con Randlett e Harbin, che ha permesso e favorito lo scambio d’informazioni con una velocità mai vista prima. Inoltre, il fatto che l’origami sia approdato in Occidente senza quel corollario di significati mistici e religiosi che lo connotano in Giappone, ha concesso agli occidentali una maggiore libertà, consentendo loro di partire alla scoperta di tutte le nuove possibilità che si possono intuire o che si presentano di volta in volta. Tanto per cominciare, ci si è “sganciati” dal quadrato e si sono esplorate le potenzialità di altri formati: triangolo equilatero, esagono, ottagono, rettangoli di ogni sorta. Sono state anche esplorate nuove forme e tecniche sulla scia di quanto già fatto da Yoshizawa, come la tecnica del box pleating, che permette di ottenere una serie di strati da sfruttare per ogni esigenza.
Lo studio della geometria ha ricevuto notevole impulso dall’arte dell’origami. Tutti gli assiomi della geometria euclidea sono dimostrabili per mezzo dell’arte dell’origami, che consente addirittura di risolvere alcune equazioni di terzo grado che sarebbero irrisolvibili con riga e compasso.
Parallelamente, le applicazioni dell’origami nella vita quotidiana sono divenute sempre più frequenti: gli airbag installati sulle automobili, per esempio, derivano da un’applicazione origami (si tratta di piegare nel minimo spazio una data superficie in modo che si espanda con il minimo sforzo alla massima velocità) e persino la lente del telescopio Hubble è stata “spedita” nello spazio piegata in modo tale che, una volta a destinazione, si potesse riaprire con un semplice clic. Anche la medicina si è ispirata a un principio dell’origami per progettare i moderni stent usati in chirurgia vascolare. Non meno importanti sono i risultati ottenuti usando l’origami per il recupero e la cura di soggetti con disturbi psicologici.
In definitiva, l’origami è uno strumento potente, potentissimo. Ed è innegabile che sia cresciuto in misura esponenziale negli ultimi decenni, E cresciuto, ma non è cambiato. Nella filosofia orientale si dice che l’unica costante del mondo sia la sua trasformazione: l’origami rappresenta questo concetto quasi alla perfezione. Da un modello, attraverso una successiva modifica ne nasce un altro, che a sua volta subisce delle variazioni dalle quali scaturisce un altro modello e poi un altro ancora, senza soluzione di continuità.
A questo punto, non resta che prendere un foglio e cominciare a percorrere la strada che porta nel mondo sterminato e pressoché infinito dell’origami.
Buone pieghe a tutti.
Francesco Decio e Vanda Battaglia
Questa “Breve storia dell’origami” è tratta dal volume “Origami tradizionali giapponesi“, di Francesco Decio e Vanda Battaglia, editing di Federica Romagnoli pubblicato nel 2014 dall’editore nuinui © Snake SA – Chemin du Tsan du Péri, 10 – 3971 Chermignon – Svizzera.
Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione. Tutti i diritti di riproduzione e adattamento sono riservati.
(Estratto dal sito: www.origami-cdo.it)