Il tabacco fu coltivato a partire dagli anni ’30 nella zona di Rivalta Scrivia, in alternativa alla coltura meno remunerativa dei cereali. Il tabacco veniva essiccato e successivamente trattato nella “fabbrica del tabacco”, a Sale, dove le foglie venivano acquistate dal Monopolio di Stato e inviate alle manifatture.
Le “tabacchine” sono le ragazze proveniente da tutta la zona e rappresentavano la manodopera femminile.
La coltivazione di tabacco nel nostro territorio iniziò ad essere praticata negli anni ‘30, come alternativa più remunerativa rispetto ai cereali. Fin dall’inizio l’attività venne svolta maggiormente dalle donne proveniente dal circondario intorno a Sale, e durante la guerra la fabbrica raggiunse le 300 unità produttive. Anche se era un lavoro stagionale per l’epoca fu una manna; le lavoratrici percepivano una paga salariale e, cosa molto importante, venivano loro riconosciute le marche assicurative. Il lavoro iniziava a marzo, presso la fabbrica, con la preparazione del semenzaio e le successive cure al vivaio. Al momento della messa a dimora delle piantine le donne andavano in campagna; questa operazione richiedeva assoluta precisione, le piantine dovevano essere disposte in modo regolare e contate perché le piantagioni erano soggette ai controlli dei delegati della finanza…
Anche le successive operazioni colturali: sarchiatura, scacchiatura, sbranchiatura e raccolta dovevano essere eseguite dalle tabacchine. Per questi lavori, oltre che presso le aziende del circondario, le donne compivano missioni esterne spingendosi fino a Castellazzo Bormida, Gabiano, Sali Vercellese, dove operavano secondo le direttive di un capozona. La raccolta avveniva in 3 tempi a seconda della posizione delle foglie sul fusto, il tabacco veniva classificato come basilare, medio e apicale. In fabbrica il mazzetto di foglie veniva infilzato con lo spago formando delle tirelle di circa due metri subito appese su telai di legno per l’essicazione. La successiva legatura delle foglie in mazzi e l’accatastamento degli stessi nelle celle per la fermentazione naturale doveva rispettare certi criteri. La cerniera delle foglie, che consisteva nella loro suddivisione in chiaro, scuro, variegato e nell’eliminazione di quelle sciupate, era l’ultima operazione prima dell’imbottamento; in seguito il prodotto veniva acquistato dal monopolio dello stato ed inviato alle manifatture. Attualmente la fabbrica, ampliata e dotata di moderne attrezzature, continua ad essere operativa, ma l’impiego della manodopera non è più quello di una volta.
Baratta è il nome di una ditta alessandrina che produceva capsule a espansione, che allungate, diventavano contenitori per sigari e medicine. Nella stessa vetrina compaiono materiali vari come tabacchiere, fiammiferi, pipe, completo per sigari, portaliquori e calcolatori.
Le pipe possono essere realizzate con schiuma di mare, argilla, legno di ulivo o ciliegio, zucca e pannocchie di mais. Possiamo osservare una collezione di pipe appartenute al Dottor Carlo Odone; un bocchino da donna appartenuto ad Angelina Vassalli; un bocchino in schiuma e ambra di Angelo Mombelli; alcune pipe di Pierino Garlando. E’ presente un completo da fumatore per scrittoio con portasigari annesso.
Ci sono curiosità come il libro di Biagio Ghò, il testamento di Michele Pasino (1836), un documento notarile del 1790, un registrello di Raccone, contratti con i notai, manoscritti redatti da nobili di Alessandria.